La Fiorentina e la magica cavalcata nella Coppa Italia 1996 nel segno di Batistuta
Estate 1995. C’è voglia di riscatto. C’è fame di vittoria. S’intrecciano storie e destini. E, credeteci, non è mai un caso. È un unicum cosmico quello che unisce e cementa ancor di più l’atmosfera che avvolge quei trenta ragazzi vestiti di viola, agli ordini di un tecnico spinto dalle medesime motivazioni.
Un allenatore che ha scalato velocemente l’Olimpo del calcio italiano, portando il Cagliari dalla Serie C1 alla A nel giro di due campionati e conducendolo ad una brillante salvezza; imprese che gli son valse la chiamata del Napoli che, però, l’ha scaricato senza particolari remore nel momento più difficile. La Viola, invece, era sprofondata incredibilmente nel Purgatorio della Serie B solo due anni prima, facendosi inghiottire dai vorticosi gorghi di una crisi tecnica e societaria senza eguali. Un corto circuito fatale che ha costretto un’intera città e un’intera tifoseria a ricalibrare le proprie aspettative.
Iniziò tutto così – La nostra storia, meglio, affonda le sue profonde radici nell’estate del 1993 quando le strade della Fiorentina e di Claudio Ranieri s’incrociano. La squadra gigliata, ferita, è alla ricerca di un nuovo condottiero che riporti l’ordine in uno spogliatoio trasformatosi in una polveriera pronta ad esplodere dopo le disavventure dell’anno passato. Il tecnico romano, dal canto suo, è alla ricerca di una prestigiosa panchina per dimostrare come la sua impresa cagliaritana non sia soltanto un exploit da annotare sugli almanacchi, ma che valga di più della sua disavventura in terra partenopea.
Innescatasi la scintilla – d’amore, non certo d’altro – la stagione fra i cadetti è una trionfale cavalcata verso il primo posto ed il pronto ritorno in Serie A. Dove compete alla Fiorentina. La storia tra i due si struttura e prende forma. Ranieri plasma la rosa a sua immagine e somiglianza, concentrando le sue attenzioni sulla valorizzazione dell’immane lavoro del suo centravanti e primo, fido scudiero: Gabriel Omar Batistuta. Il presidente Vittorio Cecchi Gori – che ha ereditato la squadra da papà Mario – vede finalmente la sua squadra brillare come non si vedeva da anni. Il merito è anche suo: per undici miliardi di lire ha portato all’ombra della cupola del Brunelleschi l’erede in pectore di Roberto Baggio: Rui Costa. Il fantasista portoghese tesse la trama e l’ordito della manovra viola, ispirando al meglio il Re Leone di Reconquista che, grazie ai suoi assist, strappa il titolo di capocannoniere dalle mani di Giuseppe Signori, padrone incontrastato della classifica marcatori. La Fiorentina, finalmente, è tornata. Ed è pronta a riprendersi quel che gli uomini le avevano idealmente strappato di mano: la possibilità di sognare in grande.
La Viola scalpita ai nastri di partenza – Ripiombiamo, dunque, a quell’estate del 1995. Nel torneo immediatamente successivo ai Mondiali americani la Fiorentina ha chiuso il torneo al decimo posto, a soli cinque punti dalla quota-Europa. In attacco si segna tanto, ma la difesa balla paurosamente. Il ruolino di marcia, infatti, testimonia come i toscani siano la seconda squadra del campionato ad aver segnato più reti dopo la Lazio di Zeman (sessantuno gol), ma paghi tremendamente le incertezze del reparto arretrato, risultando la terza peggior difesa del torneo (sono cinquantasette i palloni raccolti dal giovane Toldo alle sue spalle, ben di più di squadre come Genoa, Foggia e Reggiana che sono state retrocesse in Serie B). L’ingaggio di Marcio Santos non ha prodotto alcun miglioramento: il carioca, fresco campione del Mondo, anzi, risulta essere l’anello debole del reparto. Durante l’estate, quindi, viene impacchettato e spedito in Olanda – destinazione Ajax – mentre per ereditare il suo posto vengono scelti Lorenzo Amoruso (reduce da un ottimo campionato con il Bari di Materazzi) al quale si alterna l’ex foggiano Pasquale Padalino. Approdano all’Artemio Franchi anche il giovanissimo Emiliano Bigica, oggetto del desiderio di mezza Serie A e messosi in luce assieme ad Amoruso con i Galletti biancorossi, assieme allo svedese Stefan Schwarz dall’Arsenal per conferire la giusta dose di qualità, quantità ed esperienza internazionale alla rosa e non solo al reparto della mediana. La Fiorentina sogna in grande. E ne ha ben donde.
Tutto per l’Europa – Mister Ranieri si frega le mani, in attesa di riscuotere il credito con il destino. Ha gli uomini giusti per interpretare al meglio il suo credo tattico in cui Rui Costa viene spesso svincolato da veri e propri compiti di copertura, con il solo mandato di porsi nelle migliori condizioni per innescare gli avanti o, quando è possibile, concludere a rete. In mezzo al campo ci sono Cois, Schwarz e Bigica a far la legna, consentendogli spesso e volentieri di potersi produrre anche nel tridente con Robbiati e Baiano ai fianchi di Batigol. È un meccanismo che dà immediatamente i suoi frutti in campionato, durante il quale la Fiorentina completa il suo rodaggio nelle prime dieci giornate per poi proiettarsi immediatamente al secondo posto alle spalle del Milan di Capello. Dopo la sconfitta di misura al Delle Alpi con la Juventus campione d’Italia in carica, infatti, la Fiorentina mette in fila ben quindici risultati utili consecutivi – sette successi ed otto pareggi – che le consentono di tornare a vedere il tricolore in lontananza: non accadeva dai tempi di Antognoni e Passarella. Firenze sogna. Ed è tutto vero.
Il fascino della coccarda – A questo punto l’obiettivo europeo appare pienamente nelle corde del collettivo toscano, in grado di traslare ed applicare il medesimo modus operandi anche alla Coppa Italia. D’altronde anche il successo nella kermesse assicura un accesso alle competizioni continentali, mettendo in palio la partecipazione alla prestigiosa Coppa delle Coppe. Se le velleità di Scudetto vengano giustamente circostanziate dal tecnico, conscio di avere fra le mani una squadra talentuosa ma non ancora sufficientemente strutturata per insidiare l’egemonia che ha caratterizzato questa prima parte di anni ’90 – il massimo torneo nazionale è stato contraddistinto dalle forti tinte rossonere a cui soltanto la Juventus e la Sampdoria quattro anni prima hanno saputo porre un freno – in ossequio all’irrimediabile quanto giustificata voglia di successi dell’ambiente, un utile viatico viene riposto proprio nella Coppa Italia. D’altronde, l’ultimo trofeo sulla bacheca della Fiorentina è datato 1974-75: da lì in poi, sono passate almeno due “ere geologiche” durante le quali i gigliati hanno flirtato con lo Scudetto durante l’era dei conti Pontello, sono rimasti senza parole davanti alle giocate di Roberto Baggio ed hanno anche conosciuto l’onta della retrocessione.
S’inizia, dunque, ad agosto. Come spesso accade le prime uscite ufficiali della stagione regalano succulente sorprese. E di certo la Coppa Italia non è da meno. Dopo il primo turno disputato dopo il Ferragosto, fanno scalpore le eliminazioni di Brescia e Foggia – appena retrocesse dalla Serie A – per mano rispettivamente di Fiorenzuola e Forlì, squadre che militano nei tornei di Serie C1 e C2. Le cosiddette “grandi” entrano in gioco in vista del secondo turno e lungo il cammino della Fiorentina si presenta l’Ascoli: i marchigiani sono impegnati nel torneo di terza serie, ma l’atmosfera che si respira al Cino e Lillo Del Duca dà ai padroni di casa la forza necessaria per mettere in difficoltà una Viola ancora imballata dopo le amichevoli estive. Alla lunga, però, la classe dei ragazzi di Ranieri è più forte della voglia bianconera di serbare un proverbiale tiro mancino ai più quotati avversari. La Fiorentina s’impone per 2-1 al novantesimo, ma non senza soffrire per effetto dell’iniziale svantaggio segnato da Pasquale Minuti dopo dieci minuti dal ritorno dagli spogliatoi: Michele Serena e un’autorete di Savio consegnano il pass per gli ottavi nelle mani dei toscani. Nel frattempo salutano già il torneo la Roma – sconfitta dal Bologna – e il Torino che si piega incredibilmente al Fiorenzuola di Claudio Clementi.
La scalata alla Coppa Italia prende forma – Le cose non accadono per caso, lo ben sappiamo. Se poi il fato ci mette ben del suo, vuol dire che ad alcuni segnali bisogna necessariamente crederci. Mentre in campionato la Fiorentina deve ancora trovare la sua dimensione, in Coppa Italia i ragazzi di Ranieri vestono il ruolo del proverbiale rullo compressore. Per gli ottavi di finale, infatti, la Viola è chiamata alla trasferta di Lecce: anche i salentini, guidati da Gian Piero Ventura, disputano il campionato di Serie C1 e, sebbene tra le loro file compaiano i vari Lorieri, Zanoncelli, Macellari, Francioso e Palmieri, i toscani asfaltano i giallorossi con un perentorio 5-0 a domicilio, mandando in rete Rui Costa, Batistuta, Robbiati e Baiano per due volte. I quarti di finale prendono la strada dell’Artemio Franchi con relativa facilità. Ancora una volta la competizione riserva diversi colpi di scena: la Juventus – detentrice del trofeo – viene eliminata dall’Atalanta dopo i tempi supplementari (segna Fabio Gallo a due minuti dai calci di rigore), mentre la Sampdoria deve piegarsi al Cagliari. Soffrono le milanesi, costrette a profondere uno sforzo non preventivato per aver ragione rispettivamente del Forlì (2-0 del Milan sul prato del Dino Manuzzi di Cesena) e del Fiorenzuola (2-1 al Galleana di Piacenza).
In occasione del turno successivo il regolamento prevede gare di andata e ritorno e il tabellone propone l’ostacolo Palermo per gli uomini guidati da Ranieri. I rosanero sono impegnati tra i cadetti, ma bisogna prenderli con le pinze: è il Palermo dei Picciotti che ha mietuto illustri vittime durante il suo cammino, distruggendo il Parma per 3-0 in occasione del secondo turno eliminatorio e superando il Vicenza di Guidolin negli ottavi di finale. Il 30 novembre 1995 la Fiorentina ha ragione dei siciliani solo grazie ad un calcio di rigore trasformato da Batistuta al 65’ minuto, mentre nel ritorno de La Favorita Baiano e Rui Costa spengono le ambizioni dei ragazzi di Arcoleo. Non mancano le sorprese neanche in quest’occasione: il Milan, infatti, viene fatto fuori dal Bologna – che milita nel campionato di Serie B – ai calci di rigore dopo un duplice 1-1.
Firenze torna a brillare – La fortuna aiuta gli audaci. E la Fiorentina ci mette del suo a cogliere quest’occasione riservatagli dal destino, il quale ci ha messo senz’altro del suo nell’accompagnare la squadra viola verso la fase finale. Di certo, comunque, la maggior parte del merito va proprio a Batistuta & Co., capaci d’imporsi in ogni impegno riservato dal calendario. Lo apprende a sue spese anche l’Inter di Hodgson, ultimo ostacolo fra i toscani e l’atto finale. È una dura battaglia quella fra viola e nerazzurri. Almeno sulla carta. Sì, perché i toscani disputano una delle loro migliori partite della stagione proprio in occasione della semifinale d’andata, abbattendo la resistenza degli avversari che resistono all’onda d’urto viola soltanto per lo spazio dei primi quarantacinque minuti: al rigore di Batigol risponde Ganz, ma nella ripresa la banda toscana le suona (eccome) ai malcapitati interisti che, alla fine, devono soccombere alla legge del Franchi: Batistuta fa quel che vuole fra le maglie della difesa nerazzurra, piegando le mani di Pagliuca per altre due volte e celebrando una tripletta che lo avvicina sempre più allo status di divinità in terra dalle parti di Fiesole. Il ritorno è un assalto all’arma bianca alla porta di Toldo. Dopo il 3-1 dell’andata l’Inter avrebbe bisogno di segnar due reti, ma la difesa toscana assorbe agevolmente l’urto, colpendo al cuore gli avversari – guarda un po’ – con il bomber argentino a tredici minuti dal novantesimo. Nell’altra inedita semifinale si battagliano Bologna ed Atalanta: dopo 180 minuti sono i bergamaschi ad esultare, grazie alla doppietta di Vieri che mette in ghiacciaia il buon 1-1 esterno dell’andata. Ci si prepara così a portare la Coppa Italia in bacheche nuove: Firenze l’aspetta da ventun anni, gli orobici addirittura da trentadue.
Alla guida dei nerazzurri c’è Emiliano Mondonico, allenatore in grado di esaltare le qualità dei propri giocatori. Sono numerosi gli esempi in carriera durante i quali il tecnico si è fatto apprezzare per le sue doti: aver portato la Cremonese in Serie A dopo più di cinquant’anni, il Como a lottare per le posizioni UEFA, l’Atalanta fino alla semifinale di Coppa delle Coppe nonostante fosse in Serie B, il Torino a giocarsi la finalissima di Coppa UEFA contro l’Ajax. Tuttavia, tener testa a questa Fiorentina non è cosa semplice, seppur in campionato attraversi una fase d’appannamento che, comunque, non priverà la Viola di un ottimo quarto posto a pari merito con la Lazio e davanti a Roma e Parma.
Durante la finalissima, i toscani non fanno prigionieri: la difesa davanti a Toldo annulla il potenziale d’attacco avversario e né Tovalieri, né Morfeo riescono a superare la resistenza del portiere veneto. Nel match d’andata la Fiorentina s’impone per 1-0 – segna, manco a dirlo, Batistuta – mentre nel ritorno di Bergamo è Lorenzo Amoruso a spegnere le residue speranze della squadra bergamasca di ribaltare gli indirizzi della finale. Il 2-0 finale di Batistuta suggella il trionfo della Fiorentina, celebrando anche il titolo di capocannoniere da parte dell’attaccante di Reconquista che aggiunge al suo palmares la palma di miglior marcatore della competizione: otto reti in altrettante partite. I viola tornano a sorridere. E mister Ranieri fa la storia. La prima di una lunga serie. In attesa del miracolo di Leicester che, guarda caso, arriverà esattamente venti anni dopo.