La storia di Kakà: dal soprannome alla carriera di un talento unico
Cacà. Un modo come un altro per un bambino di chiamare il suo fratello maggiore, visto che Ricardo è una parola complicata da scandire: passa da un involontario nomignolo pronunciato da Digao, suo fratello minore poi sbarcato anche al Milan per rivedibili meriti sportivi, lo pseudonimo di Ricardo Izecson dos Santos Leite – per tutti semplicemente Kakà, un Pallone D’Oro brasiliano figlio di un ingegnerie e di un insegnante di matematica, lontano dalla logica del ragazzo povero sudamericano che trova nel calcio la riscossa della sua vita, ma non per questo meno talentuoso e incantevole.
Giocatore elegante come pochissimi altri, Kakà è uno di quei talenti fragili che hanno visto la loro vita prendere una piega fortunata a ogni dannato bivio in cui le cose potevano andare storte. Una su tutte: nell’ottobre 2000 è stato vittima di un incidente che ha rischiato di troncare bruscamente la sua carriera: ha sbattuto violentemente la testa sul fondo di una piscina e l’urto ha causato la frattura della sesta vertebra; solo per una circostanza fortunata gli ha permesso di evitare la paralisi. Kaká, fortemente religioso, è convinto di essere stato graziato da Dio e da questo è nata la sua esultanza con le braccia tese al cielo e gli occhi rivolti verso l’alto.
Il San Paolo come trampolino di lancio per un talento unico
Tre giorni dopo il suo esordio con il San Paolo, 4 febbraio 2001 a soli 18 anni, arriva il suo primo gol in carriera: la vittima è il Santos, in un match del campionato paulista che diventa soltanto un trampolino per un giocatore che ci mette pochi mesi a diventare un giovane talento da 27 partite e 12 gol segnati – numeri da attaccante, nonostante giochi più indietro. Nonostante le tante perplessità riguardo la sua tenuta fisica, Kakà era riuscito nel giro di pochi mesi a smentire tutti e a fare non solo della tecnica e della sua visione di gioco dei suoi punti di forza.
La progressione palla al piede infatti lo ha reso per anni uno dei migliori contropiedisti al mondo – corsa e dribbling, uniti a un tiro dalla distanza spesso letale. Trequartista, seconda punta, esterno d’attacco: difficile trovare un difetto a livello offensivo a un talento del genere, sia quando si parlava di gol che nell’immaginare assist per i compagni.
Il Milan, il Real Madrid e il Brasile: Kakà si prende il mondo
Un giocatore così va preso subito: lo sa bene il Milan, che a quel punto per soli 8.5 milioni di euro decide di scommettere su un campione segnalato da Leonardo – attuale dirigente del PSG e per anni vicino alla dirigenza e all’area tecnica del Milan, dopo gli anni trascorsi da calciatore in rossonero. Ci mette poco a convincere Carlo Ancelotti a schierarlo in campo, tanto che lo Scudetto del 2004 con i rossoneri porta anche la sua firma (oltre che 10 gol pesantissimi, conferma di come, quando serve, Kakà sa anche trasformarsi in realizzatore). Da quel 2003 fino al 2014 e alla stagione del ritorno al Milan diventa complicato fare l’elenco dei trionfi e delle prodezze, con il Pallone D’Oro del 2007 a rappresentare l’apice di una carriera con pochi eguali.
Il trequartista rossonero è l’ultimo giocatore della Serie A ad aver vinto il più importante riconoscimento individuale del mondo del calcio, poi diventato monopolio di Messi e Cristiano Ronaldo, con pochissime eccezioni sempre legate al calcio spagnolo. Nella penisola iberica per Kakà le vittorie a livello nazionale non mancano, ma inserito all’interno del nuovo contesto non riesce mai a sbocciare come sperato e a replicare le prodezze con cui ha incantato San Siro. Poco importa, sopratutto quando si parla di giocatori in grado di far innamorare anche gli avversari grazie alle loro doti.
Kakà e il numero 22: un compleanno portato sempre sulle spalle
Nel 2002 Kakà ha vinto anche il Mondiale con il Brasile (non giocando da protagonista) e aggiungendo poi due Conference Cup al suo bottino con la Nazionale, terminando poi la carriera a Orlando in MLS godendosi un modo completamente diverso di intendere il calcio nella fase finale della sua carriera. Sono passati 10 anni dalle sue scorribande palla al piede, anche di più, ma è ben inciso nella mente di tutti gli appassionati la sua schiena dritta, gli indici rivolti al cielo e il numero 22 tirato sulla sua schiena – frutto di una scelta semplice: nato il 22 aprile 1982, ha indossato quello in rossonero, legandolo così per sempre a quella sua avventura per sua stessa ammissione: “Lascio il mio numero come segno di rispetto, il mio 22 resterà per sempre e esclusivamente qui al Milan”.