Le finali europee di José Mourinho
E con quella di Tirana saranno otto le finali dello Special One. Per il lusitano si tratterà, però, di un impegno inedito, alla guida della sua Roma contro il Feyenoord. Forse soltanto il tecnico portoghese poteva spezzare il lunghissimo digiuno dei capitolini che attendevano da ben trentun anni la possibilità di giocarsi in un atto finale una competizione europea.
L’ultima volta che i giallorossi furono chiamati ad una simile impresa, infatti, risale al lontano 1991 quando i capitolini si giocarono la Coppa UEFA contro l’Inter di Trapattoni. Purtroppo per i romanisti, però, la sfida arrise proprio ai nerazzurri che furono in grado di tracciare un solco insormontabile con la coppa per effetto del 2-0 di San Siro nella gara d’andata: l’assalto all’arma bianca nel match di ritorno dell’Olimpico produsse “soltanto” un 1-0 durante il quale, probabilmente, ai punti, avrebbero meritato di alzare la coppa al cielo.
Ma la storia non si fa coi se e coi ma, dunque, probabilmente, c’era proprio bisogno di un condottiero che ha fatto della concretezza il suo biglietto da visita. A prescindere dalla squadra di cui è al timone. D’altronde, José ha saputo sovvertire pronostici sin dall’inizio della sua carriera da allenatore, trascinando il Porto – quasi vent’anni fa – ad imporsi per ben due anni consecutivi: prima in Coppa UEFA nel 2003, poi nell’incredibile finale di Champions League l’anno successivo quando, nel teatro dell’Arena auf Schalke di Gelsenkirchen i Dragões superarono per 3-0 il Monaco di Morientes e Prso.
Ora, anche per sua stessa ammissione – forse dettata dalle circostanze, ma si sa, Mourinho ha l’identikit ideale dell’esaltatore di masse (chiedere ai tifosi dell’Inter informazioni in merito) – quella di Conference League rappresenta uno degli impegni più importanti della sua intera carriera. Non foss’altro per la possibilità di iscrivere per primo il proprio nome sul trofeo varato soltanto la scorsa stagione dalla UEFA.
Si tratterà dell’ottava finale, dicevamo. Il suo ruolino di marcia lo vede vittorioso in quattro occasioni, mentre per tre volte ha dovuto cedere il passo ai suoi avversari. Con l’auspicio più che giustificato di vederlo infilare un pokerissimo di vittorie, ripercorriamo insieme il viaggio di José che, come un novello Ulisse, si appresta ad affrontare un nuovo, temibile, stimolante impegno.
Il primo capolavoro – Dopo le prime esperienze da primo in panchina con Benfica ed União Leiria, nel gennaio del 2002 la dirigenza del Porto lo sceglie per raccogliere l’eredità di Octavio Machado. I Dragões sono reduci da due stagioni avare di successi, dopo le scorpacciate di qualche anno prima con Jardel in attacco e Fernando Santos in panchina e i cinque successi consecutivi in Liga portoghese. Mourinho si sta facendo notare alla guida dell’União Leiria – che sta trascinando fino al quarto posto in campionato – e quindi nel mese di gennaio, dopo l’allontanamento di Machado, gli viene affidato il timone dei biancoblu: dichiara che, in vista del campionato successivo, il Porto sarebbe tornato in cima alla graduatoria del massimo torneo portoghese. E così, subito dopo il Mondiale nippo-coreano, Mourinho si proietta verso il raggiungimento dei suoi obiettivi. Ma nel frattempo c’è anche una Coppa UEFA da onorare. Grazie alle sue innegabili doti di leader, riesce a trasformare il suo Porto da brutto anatroccolo in cigno, conquistando contemporaneamente il campionato lusitano e la Coppa UEFA per effetto del 3-2 con il quale i suoi regolano nella finalissima il Celtic Glasgow. A completare il triplete – così tanto caro a José – la vittoria nella Taça de Portugal proprio contro il suo ex club dell’União Leiria.
Il Porto sul tetto d’Europa – Il verbo accontentarsi non appartiene per certo al vocabolario di Mourinho. Al netto delle dichiarazioni, infatti, l’allenatore ripaga con moneta sonante gli usuali propositi di inizio stagione. José plasma a sua immagine e somiglianza il gruppo che si stringe sempre di più intorno al suo tecnico, andando ben oltre quel che la somma dei valori tecnici – già di per sé elevato – avrebbe potuto far desumere. Si percepisce, infatti, una sorta d’aura d’invincibilità intorno ai Dragões che si preparano ad affrontare la stagione 2003-04: Vitor Baia, Ricardo Carvalho, Postiga e Deco rappresentano la colonna vertebrale dello schieramento proposto dal tecnico ed il fantasista brasiliano naturalizzato portoghese si esalta, toccando vette mai più raggiunte. Le bocche di fuoco, invece, sono Derlei ed il sudafricano Benni McCarthy che trascina la squadra con le sue ventitré reti complessive. La stagione, però, non inizia al meglio: la Supercoppa UEFA che lo vede sfidare il Milan di Ancelotti, infatti, viene deciso da una rete di Shevchenko dopo neanche dieci minuti. Ma ci sarà tempo e modo di consolarsi. Insieme alla Supercoppa di Portogallo e al campionato, il capolavoro si compie nella Champions League, durante la quale Mourinho dà sfoggio di tutte le sue qualità universalmente riconosciutegli: esulta come un folle all’Old Trafford dopo la rete che Costinha realizza allo scadere, correndo sotto la curva dei suoi tifosi per festeggiare la qualificazione ai quarti di finale. Partecipa emotivamente ed empaticamente alle vicende della sua squadra e getta il cuore oltre l’ostacolo anche in occasione dei match contro Olympique Lione e Deportivo La Coruña che lo separano dal grande obiettivo della coppa. Il 3-0 con cui regola il Monaco denota il cospicuo gap tecnico e motivazionale con cui i ventidue in campo affrontano l’incontro e, dopo la gioia, fa discutere l’abbandono repentino del palco dei vincitori per rintanarsi negli spogliatoi. In cuor suo sa già, infatti, che il suo percorso con il Porto è terminato e davanti a lui si aprono le porte della Premier League.
Vittorie, lacrime e triplete – Per rivedere lo Special One nuovamente impegnato in una finale europea bisogna attendere ben sei anni. Nel frattempo José è arrivato a Milano con le stigmate del salvatore della patria. L’Inter, infatti, domina in Serie A dopo anni passati ad ammirare gli avversari festeggiare scudetti ed alzare trofei europei. Il presidente Moratti ha ancora un sogno da realizzare: vincere la Champions League per ripercorrere i passi di suo padre e a Mourinho – che nel frattempo ha terminato la sua esperienza allo Stamford Bridge dopo tre stagioni e qualche mese – viene affidata la missione di portare la Beneamata sul tetto d’Europa. Il primo tentativo, però, fallisce miseramente agli ottavi di finale contro il Manchester United. In occasione della stagione 2009-10, l’Inter subisce una profonda operazione di maquillage: l’ingombrante Ibrahimovic viene ceduto al Barcellona per coronare i suoi sogni europei e dai catalani si conclude un’operazione che porta Samuel Eto’o a fare il viaggio inverso. In difesa, invece, ecco Lucio per comporre una coppia d’acciaio accanto a Walter Samuel. Dal Genoa vengono prelevati Thiago Motta e Diego Milito che, sotto la gestione di mister Gasperini, hanno portato il Grifone ad un soffio dalla qualificazione in Champions League. Ma il “tocco finale” giunge a campionato iniziato, quando viene prelevato il fantasista olandese Wesley Sneijder dal Real Madrid. Il numero 10 accende la luce in casa-Inter e, dopo una faticosissima qualificazione agli ottavi di finale, maturata dopo l’insperata rimonta allo scadere in casa della Dinamo Kiev, la sua Inter prende sempre più consapevolezza dei propri mezzi, compiendo imprese su imprese in Europa, mentre in campionato e in Coppa Italia si dà vita alla entusiasmante sfida a distanza con la Roma. In Champions League, José si vendica agli ottavi di finale sul suo vecchio club (vittoria casalinga per 2-1 e successo in trasferta per 1-0), mentre nei quarti viene fatto fuori il coriaceo CSKA Mosca con un doppio 1-0. Il capolavoro, però, si compie in semifinale quando contro il Barcellona si assiste a 180 minuti senza esclusione di colpi: dopo la sofferenza del Camp Nou, José corre sotto la curva dei tifosi assiepati sugli spalti dell’impianto catalano per raccogliere il loro grazie, abbracciando Oriali. Il resto, poi, nella finale contro il Bayern Monaco del Santiago Bernabeu è ormai storia: la doppietta di Milito annichilisce i bavaresi, dopo il fischio finale José si lascia andare ad un sincero pianto di commozione. Abbraccia Moratti che lo ringrazia per aver esaudito il suo sogno. Ma in cuor suo, ancora una volta, sa già che questo sarà il suo atto finale in nerazzurro.
Chelsea allergico all’Europa – Mourinho fallisce l’obiettivo di aggiudicarsi la Decima con il Real Madrid. Il suo triennio nella Casa Blanca è avaro di soddisfazioni, tant’è che vince un solo campionato davanti allo strapotere del Barcellona di Guardiola. Ed è così che nel 2013 fa ritorno al Chelsea, per ricucire il filo lì dove fu lasciato nel lontano settembre 2007 quando si lasciarono consensualmente. Stavolta José si gioca le sue carte in occasione della Supercoppa UEFA, competizione ereditata dalla gestione-Di Matteo che al termine della stagione 2012-13 ha portato sulla bacheca dei Blues una Coppa UEFA conquistata ai danni del Benfica. Nella finalissima che li vede contrapposti al Bayern Monaco, però, il Chelsea di Mourinho cede ai calci di rigore dopo il 2-2 nei tempi supplementari. L’errore di Lukaku dagli undici metri è decisivo ed il bilancio delle finali europee si pareggia nuovamente: tre successi e tre vittorie.
Lo Special One mette la quarta con i Red Devils – Che Mourinho ami i colpi di scena lo si apprende anche quando dice di sì al Manchester United, dopo aver più volte dichiarato che non avrebbe allenato un club differente dal Chelsea in Premier League. Una lezione che, infatti, hanno appreso anche i tifosi interisti. Tuttavia, non c’è da biasimarlo se a blandirlo sono proprio i Red Devils, alla ricerca di una nuova dimensione dopo esser rimasti orfani di Alex Ferguson. Sebbene il rapporto tra il lusitano e l’ambiente mancuniano non sia propriamente idilliaco (eufemismo), José riesce a riportare il Manchester United ad una vittoria europea grazie al successo in Europa League contro l’Ajax nella stagione 2016-17. È forse questo l’unico momento felice della sua esperienza all’Old Trafford. Ma è quanto basta per entrare nella storia e piegare positivamente il bilancio delle sue finali europee dalla sua parte. D’altronde non si è Special One per caso.