Perché il Bournemouth ha i colori del Milan e il simbolo simile all’Atalanta
“Saremo una squadra di diavoli. I nostri colori saranno il rosso come il fuoco e il nero come la paura che incuteremo agli avversari.”
Con queste semplici parole Herbert Kilplin, storico fondatore dell’AC Milan, annunciava al mondo la nascita del club rossonero, del quale diventerà il primo presidente/allenatore della storia. Una frase diventata icona distintiva per la società milanese e per tutti i tifosi che nel corso degli anni si sono identificati in quel simbolo e in quei colori.
Tra i maggiori ammiratori di quella maglia, però, c’era anche un certo John Bond, leggenda del West Ham United e grande cultore di calcio internazionale. Le sue oltre 400 presenze con la maglia degli Hammers a cavallo tra gli anni 50 e metà degli anni 60, gli hanno permesso di conquistare la famosa FA Cup del 1964 insieme a una delle icone assolute del calcio inglese (Bobby Moore) ed entrare di diritto nella Hall of Fame del club londinese.
Una volta appese le scarpe al chiodo (nel lontano 1969), Bond decise di immergersi immediatamente nell’avventura manageriale, tanto che già dall’estate del 1970 viene ingaggiato dal Bournemouth appena retrocesso in quarta divisione. Essendo una figura conosciuta in ambito nazionale, il suo arrivo nel sud dell’Inghilterra coincise anche con il primo storico cambiamento della storia del club: dal colore biancorosso, le Cherries grazie alla caparbietà e testardaggine di John Bond, divennero ufficialmente rossoneri.
La decisione dell’ex giocatore del West Ham di far diventare il Bournemouth una sorta di “succursale” del Milan, era dovuta al colpo di fulmine che aveva avuto nel corso degli anni 60 quando i rossoneri divennero il primo club italiano a vincere la Champions League. La storia della società milanese, nata grazie all’idea di un inglese emigrato in Italia, lo aveva affascinato e colpito sin da subito, tanto che per far diventare sua la celebre citazione di Kilplin, con l’aiuto di Dick Dowsett (che poi vedremo chi è) obbligò il proprietario del Bournemouth a cambiare i colori sociali del club.
Sembra strano che un allenatore possa decidere come e quando la storia e la tradizione di una squadra vadano cambiate, ma questo testimonia quanto fosse forte l’influenza di Bond in quell’epoca. Era un giocatore carismatico, che incarnava già la figura di manager, ovvero non un allenatore della squadra e basta ma anche un “gestore” a più grandi linee della società. Il suo “regno” sulla panchina delle Cherries durò infatti solo 3 anni, nei quali riuscì a ottenere una promozione in terza divisione (al primo anno) e mantenere la categoria nelle stagioni successive. Quella sua idea di far diventare il Bournemouth rossonero, però, sarà destinata a rimanere e dare al club un tratto distintivo unico nel suo genere, almeno per quanto riguarda il suolo inglese. Per una squadra italiana (la Juventus), che deve i suoi colori a una squadra inglese (il Notts County), dal prossimo anno in Premier League ci sarà un club inglese che deve tanto, se non tantissimo, a uno dei club italiani più storici.
Per quanto riguarda il logo ufficiale invece, sebbene in molti pensassero ci fosse una stretta correlazione con l’Italia, e con l’Atalanta in particolare, il motivo per il quale il Bournemouth vanta un calciatore con i capelli lunghi che colpisce di testa un pallone sul proprio club crest va attribuita a Dick Dowsett, ex calciatore e direttore commerciale della società, diventato un’icona per tutti i tifosi durante il suo periodo di attività. Nel logo non è quindi rappresentata una dea con il pallone ma il volto, molto stilizzato, di Dick Dowsett.