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Phil Masinga, il giustiziere con il sorriso sulle labbra

Calcio Operazione Nostalgia 28/06/2022

Forse non era un caso. Anzi, possiamo dirlo con certezza: non lo era affatto. Presentarsi al primo, storico appuntamento mondiale del suo Sudafrica con il numero 6 sulle spalle, sotto gli occhi di Madiba Nelson Mandela. Un 9 rovesciato. Non aveva bisogno di etichette e, se possibile, egli rappresentava l’incarnazione dell’antidivo per eccellenza: lavoro, dedizione, sacrificio e sudore per ovviare a mezzi tecnici tutt’altro che eccelsi. Non era un uomo-copertina. Non era certo un eroe. Ma ovunque sia passato, Chippa ha lasciato ben netta e distinta la traccia del suo passaggio. E per questo, sicuramente, quel ragazzo dalla pelle d’ebano ha fatto breccia nei cuori dei tifosi. Non era un attaccante come gli altri Philemon Raul Masinga.

Ha girato il mondo con il pallone fra i piedi, facendosi sempre trovare pronto quando l’occasione lo richiedeva. In barba a quel numero 9 rovesciato, Phil ha costruito una carriera provvida di gioie e di successi, dentro e fuori dal campo. Per lui e per gli altri. Il suo nome, difatti, fa parte della punteggiatura nella storia della sua nazionale e dei club di cui ha vestito i colori. L’Italia lo ha accolto quando, ormai, era un uomo maturo. Nel silenzio e nel pregiudizio: un giocatore venuto da lontano, da tanto lontano, che si è concesso due soste in Inghilterra e Svizzera prima di sbarcare nel Belpaese in un pomeriggio d’autunno, sulle sponde del lungomare di Salerno. Uno zuccotto nero e un trench scuro: il pollice all’insù ed un sorriso bianco smagliante che si staglia su un fisico di 190 centimetri. Sembrava un ragazzo come un altro. E invece avrebbe fatto la storia del suo nuovo club con la divisa granata. Così come quello della sua Nazionale.

Phil si è sempre presentato puntuale agli appuntamenti con la storia. Quel ragazzo sorridente sul lungomare del capoluogo campano, infatti, non era “uno” qualunque. È stato, infatti, uno dei protagonisti del successo dei Bafana Bafana nella Coppa d’Africa appena archiviata. Una vittoria dall’altissimo valore simbolico, che ha rappresentato il riscatto di un’intera generazione, la sua, cresciuta sotto l’asfissiante giogo dell’apartheid e che ha visto proprio in Nelson Mandela il simbolo di una lotta, della sofferenza e del riscatto. Quel Madiba che alzò assieme a lui, al capitano Tovey ed ai suoi compagni d’avventura, il primo trofeo continentale della sua nazionale davanti agli ottantamila dello stadio di Johannesburg ed un intero Paese desideroso di veder finalmente sventolare la bandiera arcobaleno più alta di tutte le altre.

Phil, dunque, nell’ottobre del 1996 alla Salernitana, trovando davanti ai suoi occhi una squadra in condizioni disperate. Dopo anni di “autarchia”, infatti, il sodalizio granata si è riaperto agli stranieri ed all’inizio della stagione sono arrivati due olandesi: Ferrier e Jansen con l’obiettivo di dar man forte a Giovanni Pisano, vero e proprio monumento nella storia del club. E invece le delusioni si succedono all’incredulità: mister Colomba non trova il bandolo della matassa, mentre i due nederlandesi sono decisamente impalpabili. Viene perciò deciso di affidarsi al centravanti dal 9 rovesciato che, dopo una buona annata con il Leeds United sta vivacchiando in Svizzera con il San Gallo. Ha guidato l’attacco del Sudafrica nella finale di Coppa d’Africa. Non è certo l’ultimo arrivato. Ma lo conoscono davvero in pochi. Chippa arriva così a Salerno senza attendersi minimamente di dover vestire i panni dell’uomo della provvidenza. Ma le cose non accadono per caso, lo abbiam detto prima. Dopo cinque spezzoni di partita, infatti, finalmente mister Colomba gli dà una maglia da titolare nell’infuocato match contro il Pescara ed è proprio Phil a servire a bomber Pisano la palla decisiva da scagliare in fondo al sacco per l’1-0 che vale il ritorno al successo dopo otto turni d’astinenza. Il tecnico pensa di aver trovato finalmente la quadra. Ma non sarà così.

Incredibilmente, due settimane dopo, Pisano viene ceduto al Genoa ed al suo posto viene chiamato Edoardo Artistico, bomber di razza. Tuttavia, non è la stessa cosa e l’incantesimo si rompe in men che non si dica. Ciccio vive un’annata storta e il tecnico ne fa inevitabilmente le spese: dopo l’ultima giornata di andata viene chiamato Franco Varrella. Nel frattempo, Mazinga – come viene soprannominato dalla tifoseria salernitana – resta in panchina. Per lungo tempo. Le croniche difficoltà della Salernitana non si risolvono neanche dopo l’avvicendamento ed è frustrante per Phil rimanere puntualmente ai margini della squadra, lì sulla panchina, senza poter far nulla. Passano le settimane e i mesi, finché si arriva al mese di marzo.

Dopo la pausa delle nazionali, infatti, il ragazzone di Klerksdorp, sobborgo di Johannesburg, torna a vestire la maglia da titolare dopo l’exploit contro gli adriatici ed il giorno 23 segna la sua prima rete italiana, seppur nell’infruttifera trasferta di Cesena. Si soffre. Eccome. La salvezza è sempre più complicata, ma dopo aver rotto il ghiaccio con il calcio italiano, Masinga diventa l’eroe dell’Arechi: segna una doppietta nel 4-1 con cui viene spazzato via il Brescia che sta dominando il campionato e, quando mancano poco più di 180 minuti alla fine del torneo, Chippa marca la rete che suggella la tanto inseguita ed agognata salvezza quando mancano meno di due giri di lancette dal novantesimo nel match contro il Castel di Sangro. Esplode lo stadio, così come la gioia del sudafricano che con una zampata ha salvato una squadra e un’intera città dalle sabbie mobili della lotta per non scivolare in Serie C.

Masinga, ora, non è più “uno qualunque”. Se la Salernitana è ancora fra i cadetti, il merito è anche, soprattutto suo. E dopo aver spento le sue ventotto candeline, Philemon Raul è pronto per diventare un eroe nazionale: accade nella sua Johannesburg che il Sudafrica si giochi le chance per partecipare al suo primo Mondiale. Non poteva non esserci la sua griffe sulla rete-qualificazione ai danni del Congo che ha portato il Sudafrica alla partecipazione alla kermesse iridata di Francia ’98.

È l’uomo della provvidenza. Ora è un vero monumento sotto la bandiera arcobaleno del suo Paese. Chippa ha portato i Bafana Bafana sul palcoscenico più prestigioso al mondo, insieme ad altri trentuno prestigiosi attori. Ed ora? Che si fa?

 

Le sue quattro reti nel finale di campionato non sono certo passate inosservate. E mentre la Salernitana si aggrappava alle sue giocate e alle sue zampate, il Bari di Eugenio Fascetti festeggiava il ritorno nella massima serie dopo un solo anno di purgatorio. I Galletti sono tornati in Serie A grazie alle reti di un giovanissimo prodotto della cantera biancorossa: Nicola Ventola. Assieme a lui, in attacco, si sono messi in luce quel vecchio volpone di Miguel Angel Guerrero e Marco Di Vaio, alla sua prima, vera esperienza dopo l’apprendistato con la maglia della Lazio sotto la gestione di Zdenek Zeman.

In vista del nuovo campionato, però, c’è bisogno di gente pronta a mettersi in gioco, che sappia farsi trovar pronto quando l’occasione lo richieda. Ed è per questo che il nome di Philemon Raul Masinga finisce sui taccuini dei dirigenti pugliesi: non ci vuol granché per convincere Chippa a mettersi in discussione nel campionato più bello e difficile del mondo. Sarebbe il miglior viatico in vista di una stagione indimenticabile che, se le cose andranno bene, sublimeranno nella partecipazione al Mondiale francese al termine dell’annata. Curiosamente, fa il percorso inverso proprio l’attaccante romano che con i colori granata farà la storia del club.

Alla guida de La Bari, mister Fascetti si ritrova con un guerriero silenzioso, pronto ad affilare le armi con il sorriso sulle labbra. Lo coccola, lo valorizza e lo fa sentire al centro del progetto. Come mai, forse, era accaduto prima. E Phil lo ripaga con stagioni da incorniciare: realizza venti reti nei primi due campionati – inframezzati da un Mondiale che, se non a livello di risultati, risulta comunque indimenticabile – e si veste da giustiziere contro l’Inter del Fenomeno Ronaldo che abbatte a San Siro con una sua rete nel match di andata, così come in quello di ritorno quando la sua rete al novantesimo mandò definitivamente in malora le flebilissime speranze dei meneghini di tornare in scia per la conquista dello Scudetto.

Phil è stato amato. Ed ha ripagato l’affetto dei suoi tifosi con egual moneta. Seppur al San Nicola, complice anche un suo duro infortunio, abbiano assistito alla crescita di un ragazzo dal nome di Antonio Cassano, il quale ha inevitabilmente catapultato le attenzioni degli appassionati sulla sua egocentrica figura. Non è certo il mondo di Masinga, quello.

Nel 2001, dopo la retrocessione in Serie B dei baresi, saluta la Puglia con un bottino complessivo di ventiquattro reti in ottantaquattro sfide con la casacca biancorossa. Un rapido passaggio nel campionato emiratino dell’Al-Wahda prima di dire basta quando le primavere sono soltanto trentatré. Chippa è provato dagli infortuni e ormai la voglia di sorridere fa spazio al dolore che ha preso il sopravvento.

Come un sole che tramonta dietro alle montagne, Masinga scompare dal mondo del calcio, per ritirarsi a vita privata. Che, però, non fa sconti. La riconoscenza, d’altronde, non è spesso di questo mondo e nel giro di pochissimo tempo si ritrova isolato e dimenticato da quel mondo che l’ha avuto sulla punta della lingua per tanto tempo. Dieci anni dopo il suo ritiro fu raggiunto da un cronista del Sunday World, periodico sudafricano, che lo raggiunse dopo appreso del suo stato d’indigenza totale, in piena povertà e letteralmente sul lastrico. Mai avuta la volontà di chiedere un aiuto fra Inghilterra, Svizzera ed Italia dove di certo si ricordavano di lui. Troppa la dignità. «E se avessi problemi nella mia vita? Chi non li ha, rispondimi? Dimmi, cosa c’è di sbagliato nel tornare a vivere in una borgata? Non voglio pietà, io non finirò come Jake Matlala». Rispose così, quasi stizzito, sbattendo il telefono in faccia al giornalista che gli chiese il perché di quest’ostinata decisione di non chiedere una mano.

I guerrieri non si arrendono mai. Lottano fino alla fine. E lui l’ha sempre fatto con il sorriso sulle labbra. Fino a quel giorno di gennaio del 2019 quando morì in un letto d’ospedale, dimenticato e solo, poco prima di varcare la soglia dei cinquant’anni. Noi non l’abbiamo dimenticato. Non era “uno” qualunque.


Operazione Nostalgia

Operazione Nostalgia si caratterizza per una narrazione nostalgica e romantica del calcio italiano tra gli anni '80 e gli anni 2000, decenni di cui ripercorre i momenti salienti e racconta le storie dei personaggi più iconici e curiosi.

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