Un gioco per mercenari?
Era il giorno prima che Cristiano Ronaldo firmasse per l’Al Nassr, completando un trasferimento a parametro zero del valore però di 200 milioni all’anno. Era il 29 dicembre. Il giorno in cui Pelé ci ha lasciato.
“Un’ispirazione per milioni di persone, un riferimento ieri, oggi e per sempre. Riposa in pace Re Pelé”. Così si legge in una parte del tributo che Ronaldo ha pubblicato sui suoi social media. Al tempo il mondo ed in particolare quello del calcio erano molto differenti. Oppure no?
Possiamo affermare che Pelé sia stata la prima superstar globale del calcio grazie anche alla nascita, allo sviluppo ed alla diffusione delle trasmissioni televisive. Ovviamente segnare una quantità 1279 gol in 1363 partite e vincere innumerevoli trofei lo ha aiutato a distinguersi. Ma ciò che ha reso speciale Pelé è stato l’impatto culturale.
Nel 1961, a soli 21 anni, fu dichiarato patrimonio nazionale del Brasile, rendendogli quasi impossibile lasciare il Paese. All’epoca ci furono tante trattative con le squadre più grandi, più ricche e più forti che stavano emergendo in Europa, ma era il gioco del calcio era ancora molto semplice, un gioco della classe operaia. Rimanere al Santos avrebbe potuto persino aumentare la fama di Pelé.Ed infatti, insieme hanno anche vinto due volte sia la Copa Libertadores, l’equivalente sudamericano della Champions League, sia la Coppa Intercontinentale, battendo i vincitori della Coppa dei Campioni in carica, Benfica e Inter.
Solo dopo 19 stagioni con il Santos, ha deciso di accasarsi ai New York Cosmos per sei mesi, ed ha vinto anche lì.
Mentre in poteva pensare che la sua scelta era dettata dalla voglia di sperimentare un’altra cultura o rendere popolare il calcio negli Stati Uniti, la verità è che la sua decisione fu influenzata dal denaro e da nient’altro. Come ha affermato anche lo stesso Pelé nella sua biografia “Pelé: A Importância do Futebol“ nel 2013, non ha mai voluto giocare per un altro club, ma aveva bisogno di soldi dopo il fallimento di alcuni investimenti sbagliati che aveva fatto. Non aveva quindi altra scelta.
I soldi fanno girare il mondo
Pelé è infatti diventato l’atleta più pagato al mondo mentre era a New York, guadagnando 2,8 milioni di dollari all’anno mentre pochi altri in qualsiasi sport raggiungevano cifre simili a quel tempo. Anche lui allora è stato un “mercenario”. Un riferimento ieri, oggi e per sempre, come ha giustamente sottolineato Ronaldo. Se Pelé l’ha fatta franca, schivando l’etichetta del calciatore legato al “Dio Denato”, perché invece accusare CR7 ?
Cristiano Ronaldo è passato da Madeira allo Sporting Lisbona, da a Manchester a Madrid fino a Torino, per poi tornare a Manchester. Ed ora è partito per l’Arabia Saudita. Ha vinto ovunque. Cinque Palloni d’Oro, cinque Champions League, 837 gol in 1181 partite ed ha guadagnato oltre 1 miliardo di euro in carriera.
Il trasferimento in Arabia Saudita a 37 anni, dopo quella che probabilmente è stata la sua ultima apparizione ai Mondiali, non dovrebbe quindi essere uno shock. Dopotutto è la nuova normalità, con David Beckham (USA), Fabio Cannavaro (Cina), Xavi (Qatar), Andres Iniesta (Giappone) e tanti altri in testa che hanno fatto scelte analoghe. Alcuni scelgono la cultura, altri il clima, altri i soldi, altri ancora una nuova esperienza.
Ma c’è qualcosa nel movimento di Ronaldo che non si adatta perfettamente al quadro. Nella famigerata intervista rilasciata a novembre a Piers Morgan, ha dichiarato chiaramente che intendeva restare in Europa e dimostrare di essere ancora uno tra i più forti. Solo che pare ci sia stato poco interesse, almeno da parte dei grandi club. Per un giocatore che è stato agli apici del calcio mondiale per così tanto tempo, deve essere stata una dura realtà.
Forse il suo ultimo capitolo potrebbe ancora non essere stato scritto. EURO 2024 non è poi così lontano e non si può ancora escludere un’altra corsa alla Champions League in futuro. Ma per ora, è bene lasciare che Ronaldo si goda la nuova vita in Arabia Saudita.
Al giorno d’oggi vincere è tutto
La verità è che con i giocatori che sono sempre più soggetti a trasferimenti qua e là, ora è difficile tenere il passo. Il calcio è cambiato. Uomini legati ai grandi club, leggende come Ryan Giggs, Gary Neville, Paul Scholes (tutti al Manchester United), Paolo Maldini (Milan), Francesco Totti (Roma), Jamie Carragher (Liverpool), Carles Puyol (Barcellona) o Tony Adams (Arsenal) sono e saranno sempre meno.
I club più ricchi non hanno spazio per gli errori, per l’apprendimento. Vincere è tutto ciò che conta. Quasi nessun giovane giocatore ha così la possibilità di sfondare. È molto più facile portare in rosa un giovane talento durante una sessione di calciomercato se il denaro non è un problema.
Forse noi come spettatori, come fan di questo sport, allora abbiamo bisogno di una nuova prospettiva. Thomas Müller ha dato tutto per il Bayern Monaco, Sergio Busquets è rimasto al Barcellona nella buona e nella cattiva sorte. Perchè non dovrebbero meritarsi una bella stagione o due a Los Angeles, Tokyo o Sydney quando il calcio europeo sarà troppo per loro?
Forse abbiamo già una nuova prospettiva. Di recente mi sono imbattuto in un post sui social media che celebrava la carriera della leggenda del basket Dirk Nowitzki, il tedesco che ha trascorso tutta la sua carriera in NBA con i Dallas Mavericks e che a volte ha preso volontariamente meno soldi in modo che la squadra potesse ingaggiare altre stelle e rientrare comunque nella classifica tetto salariale imposto. Secondo Business Insider, potrebbe aver rinunciato fino a 200 milioni di dollari durante la sua carriera.
E anche se Nowitzki ha vinto, diventando campione NBA nel 2011, non tutti guardano al suo comportamento generoso con lo stesso rispetto: molti appassionati di basket lo criticano per non aver vinto abbastanza, non aver preso tutto quello che gli spettava rimanendo fino a 41 anni ai Mavericks.
Alcune vittorie contano di più
Se le squadre oggi tengono più di ogni altra cosa a vincere vale lo stesso anche per le nuove generazioni di tifosi? Può darsi. Forse l’ideologia della sportività sta morendo. Vinci e sarai amato fino al momento in cui perdi.
Per quelli che rimpiangono i bei vecchi tempi, le squadre nazionali rimangono un rifugio sicuro. Basti pensare a Lionel Messi che ha vinto i Mondiali in Qatar con l’Argentina a dicembre ed agli oltre 5 milioni di tifosi che festeggiano per le strade di Buenos Aires, celebrando un trofeo che non vincevano da 36 anni. Come disse Messi nel 2016, avrebbe scambiato tutti i suoi riconoscimenti e premi individuali con una Coppa del Mondo. Ora non deve.
Questo è ciò che distingue i migliori dai grandi nel calcio di oggi, e forse lo è sempre stato. Pelé ha vinto tre volte la Coppa del Mondo. Messi ha vinto Mondiali Copa America. Cristiano Ronaldo è stato campione d’Europa con il suo Portogallo. Nowitzki medaglia di bronzo ai Mondiali e medaglia d’argento all’EuroBasket.
Ci sono ancora alcune cose che non possono essere acquistate.